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Una nuova vita in campagna con un marito, un numero variabile di gatti e un cane con un solo neurone. La passione per la musica classica e per i borghi medievali, per la spiritualità dei Nativi Americani e per i misteri irrisolti, per le autoproduzioni e il vivere consapevole. Questa è la mia vita. Queste sono le mie storie.

mercoledì 29 aprile 2015

Immagini ritrovate


Nella mia via c’era una latteria che nel retro aveva dei tavoli e ci si poteva anche mangiare. Ci si comprava anche il vino nei bottiglioni o nel fiasco, e l’essenza di trementina. Se compravi il vino, il lattaio te lo metteva nel sacchetto di plastica doppio, e il sacchetto di plastica non te lo faceva pagare. L’essenza di trementina non so, non l’ho mai comprata. Una volta il latte lo vendevano in un contenitore a forma di piramide. Costava 480 lire e si tenevano le monete da 5 e da 10 lire solo per quello. Poi qualcuno aveva deciso di vendere il latte a cifra tonda e quelle monete erano sparite. Te le davano solo in qualche supermercato, ma solo se eri un cliente antipatico.
Nella mia via c’era la latteria e anche il colorificio, che aveva le vetrine fatte di legno e di vetro. e per entrarci bisognava salire quattro gradini. Dentro invece era solo di legno. Legno sulle pareti, legno per le mensole, legno per gli scaffali. Di legno pure il bancone. Dentro il colorificio c’erano tutti i colori del mondo, bastava sceglierli su un catalogo e poi un uomo con una tuta blu o marrone usciva da dietro una tenda con una latta di quel colore. C’erano anche i pennelli per stendere quel colore, ma non eri obbligato a comprarli.
Nella mia via c’era pure un negozio di biciclette, che odorava di gomma delle ruote nuove e di grasso per le catene. E lì accanto c’era il ferramenta che all’occorrenza ti vendeva anche la pompa per gonfiare le ruote, e costava meno che nel negozio di biciclette.
Nella mia via c’era il fruttivendolo che a Natale metteva una catena di luci con le palle colorate, che avevano solo i fruttivendoli e qualche volta le macellerie. C’era anche quella nella mia via, ma non aveva le palle colorate a Natale. Però in estate fuori dalla porta aveva una tenda fatta di lunghi fili marroni spessi e pelosi.
Vicino alla mia via c’era anche una chiesa, e vicino alla chiesa c’era un giardinetto dove ci giocavano i bambini. Giravano sui vialetti con le biciclette o con i pattini che avevano le rotelle due per parte, e non in un’unica fila come i pattini moderni, oppure giocavano al pallone, se qualcuno lo portava. Per terra c’era l’asfalto, e se cadevano si sbucciavano le ginocchia, ma c’era una fontanella per lavarsi e il giorno dopo arrivavano con un cerotto messo di traverso. Nello stesso giardinetto ci portavano a passeggio i cani, e capitava che la palla si sporcasse di cacca, ma si lavava nella stessa fontanella e nessuno ci pensava più.
Nella mia via c’erano i pittori e gli scultori perché la mia via stava vicino all’Accademia di Brera, c’erano le botteghe e i bottegai, c’erano i fornai e i pasticceri, le prostitute e i travestiti, e anche degli architetti. Stavano tutti assieme senza trovarlo strano, e a noi bambini ci insegnavano che dovevamo salutare tutti.
Adesso nella mia via ci sono solo negozi di lusso, e nessuno saluta più nessuno perché non ci sono più i fornai e i pasticceri e i bottegai, non ci sono più le prostitute e i travestiti e nemmeno gli architetti, ma ci sono solo persone di lusso e a quanto pare quelle non salutano.

Non ci sono più neanch’io, nella mia via. L’ho lasciata quando ha cominciato a diventare di lusso e da allora ci sono tornata solo tre volte di numero. Una volta per rivedere la casa dov’ero cresciuta, un’altra volta perché avevo nostalgia e un’ultima volta prima di andarmene da Milano per sempre, per fare qualche foto. Ma quella che avevo fotografato non era più la mia via, e le immagini non mi dicevano niente. Invece questa, che ho ritrovato fra le cose di mia mamma, mi parla ancora, e la sua voce è forte.




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