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Una nuova vita in campagna con un marito, un numero variabile di gatti e un cane con un solo neurone. La passione per la musica classica e per i borghi medievali, per la spiritualità dei Nativi Americani e per i misteri irrisolti, per le autoproduzioni e il vivere consapevole. Questa è la mia vita. Queste sono le mie storie.

giovedì 10 settembre 2015

Settembre, finalmente...



Finalmente il fresco, il vento e le nuvole nel cielo di nuovo azzurro! Finalmente si può stare fuori a passeggiare o a lavorare, e l’aria è frizzante e piacevole. Finalmente non si è più costretti a vivere sigillati in casa, con le finestre chiuse e le imposte sbarrate per tenere fuori il caldo violento che in questa lunga estate calda aveva assunto una consistenza quasi fisica. Il caldo lo potevi toccare, perché l’aria era diventata talmente spessa che più che respirarla ti pareva quasi di masticarla. E nel biancore abbacinante del mondo che si cuoceva sotto quel sole cattivo, persino le ombre sembravano svanire, prosciugate da un caldo inumano. D’accordo, non è stato come nel 2003, ma solo perché allora era durata cinque mesi pieni, da maggio a settembre, mentre quest’anno è stato più breve. Per il resto è stato lo stesso incubo a occhi aperti, un incubo di sudore e di immobilità forzata perché anche l’attività più insignificante era capace di sfiancarti.
Ma forse la cosa che più mi ha impressionato, in questa mia estate a 40°C, è stata il deserto delle persone attorno a me. Le poche volte che un impegno mi strappava dal fresco effimero della casa per buttarmi fuori in quell’inferno, mi sembrava di muovermi in uno di quegli scenari post-apocalittici da ‘ultimo uomo sulla Terra’. A parte le due o tre ore più fresche al primo mattino, dopo le 9 non c’era in giro più nessuno fino alla tarda sera. Nessuno per le strade, nessuno in paese, nessuno a fare la fila alla fontana dietro al municipio a prendere ‘l’acqua del sindaco’. Ma anche nessun animale in giro, o uccelli nel cielo, faceva troppo caldo anche per loro. Le uniche a sembrare felici erano le cicale, che dalla cima degli alberi intonavano per noi la loro musica struggente; ma sappiamo bene dalle antiche storie che non sono animali molto svegli, altrimenti non si farebbero fare la morale da un branco di formiche saccenti che invece hanno passato l’estate a rubare avanzi di cibo dai secchi dei rifiuti.
Tutto questo mi ha riportato alla mente le estati della mia infanzia al mare, in Molise, trascorse nella casa degli zii paterni. Parliamo della fine degli anni ’70, qualcosa come due o tre ere geologiche fa… un mondo diversissimo da quello di oggi. E, suppongo, anche un caldo diverso da quello di oggi. Dubito che anche allora ci fossero giorni in cui c’erano 32°C in casa come è capitato qui, e in ogni caso ero una bimbetta di 5 o 6 anni e a quell’età caldo e freddo sono concetti molto relativi; il caldo lo vedevo riflesso sui grandi che passavano il tempo a sventolarsi con ventagli colorati, ma non ricordo di averlo patito. Quello che invece ricordo bene erano i lunghi pomeriggi di noia trascorsi inventando giochi silenziosi mentre gli adulti dormivano per sopportare meglio le ore più calde della giornata: subito dopo pranzo venivano calate le tapparelle e si accostavano le finestre, e per le due o tre ore successive l’unica cosa che si sentiva era il russare deciso di mio padre e il canto potente delle cicale. Visto che pativo anche allora l’essere reclusa, di tanto in tanto mi infilavo sotto una tapparella e uscivo sul balcone a guardare il mondo, e quello che vedevo era lo stesso nulla che si vedeva anche qui. Persino la statale, che allora passava a pochi passi dalla casa degli zii, era per lo più deserta; passava solo qualche camion, facendo un rumore particolare che ancora adesso, quando lo sento, mi riporta a quegli anni.
Ecco, quando penso al sud e alle vacanze della mia infanzia, è questo ciò che mi viene in mente: strade vuote, tapparelle abbassate, finestre chiuse, cicale, un sole che stampa ombre nerissime sull’asfalto, pomeriggi di noia.


Rivivere le stesse cose qui e ora, in un altro luogo e in un altro tempo – riviverli da adulta – è spiazzante. Mi fa vivere in un eterno déjà vu, mi fa credere che il tempo (non solo quello atmosferico) si sia incasinato e non stia più scorrendo come dovrebbe.
È anche per questo che sono contenta che sia settembre, finalmente.