Ogni volta che vado a fare spese di frutta e verdura al negozio del paese finisco sempre per tornare a casa con l'auto che strabocca di borsine e cassette cariche di ogni ben di Dio, specialmente quando vado solo per comprare poche cose, tipo un chilo di patate per il pranzo e due limoni per la tisana della sera. Colpa di Martino, che sicuramente non si chiama così visto che è indiano, ma poco importa: è semplicemente il commesso più bravo della storia del commercio mondiale, sin dalla prima volta in cui due cavernicoli si sono scambiati tre conchiglie e una punta di lancia per un cosciotto di cinghiale appena cacciato.
Resistergli è impossibile: ti guarda con sguardo innocente, ti sorride e ti dice "ma come, solo patate e limoni? Dai, prendi anche zucchine, che ti faccio prezzo buono." "Sì, vabbè, ma solo due". "Ma no solo due. Se prendi tutta cassetta faccio prezzo ancora più buono." E io lo so che dovrei resistere, perché ci sono già passata e so che poi mi faccio ingolosire dal prezzo che è veramente più che buono, e torno a casa con 10, 15 chili di roba e poi mi tocca passare una settimana a lavare, mondare, affettare, cuocere... e poi dove cavolo la metto tutta quella roba, che il freezer è già pieno? Ma non ce la faccio, perché avere il freezer che strabocca rassicura il fantasma della me che in passato è stata povera, e quindi sì, prendo la cassetta delle zucchine, e anche i cavoli, e le mele, e tutto quello che passa per le mani di Martino. Il conto, alla fine, è sempre vergognosamente basso per quello che porto a casa, ma non contento Martino aggiunge anche sempre qualcosina per fare cifra tonda. Ed è stato così che dopo una delle ultime spese mi sono ritrovata in casa cinque cetrioli. Li mangio solo io, e pure senza esagerare perché dopo un po' mi rimangono sullo stomaco, così mi sono detta "e adesso che ci faccio con 'sti cetrioli?"
........
...ideona: lo smoothie!
Era da tanto che volevo provarli. Dappertutto martellano che fanno tanto bene e sono buonissimi, quindi mi sono messa in caccia di ricette e ne ho trovata una che prometteva di sgonfiare il corpo e depurare la pelle... meglio di così!
Servivano cetrioli, cuori di finocchio, sedano e carota, da mixare e da allungare con acqua e succo di pompelmo. Mi sono subito messa all'opera: ho lavato, mondato, tagliato e mixato, ho aggiunto l'acqua richiesta e un pochino di succo di arancia e limone al posto del pompelmo che non avevo. Poi ho bevuto... il risultato?
L'impressione è stata quella di bere il soffritto o le verdure scondite del minestrone... insomma, una vera zozzeria che ha presto trovato la via della compostiera (ma almeno i lombrichi hanno apprezzato), oltre che una delusione. Magari mettendoci della frutta, come ho visto in altre ricette, le cose migliorano, ma in tutta onestà preferisco mille volte di più i frullati tradizionali fatti con il latte (anche quello di soia) o lo yogurt. E le verdure preferisco mangiarle così come sono o nelle minestre, che son più di soddisfazione!
Comunque per chi volesse provare, queste sono altre ricette che avevo trovato, e che non ho più avuto il coraggio di fare...
2 ciuffi di spinaci, un gambo di sedano, qualche foglia di menta, succo di due lime e mezzo cetriolo. Frullare e allungare con poca acqua e del ghiaccio tritato.
1 mazzetto di spinaci freschi, 1 di prezzemolo, qualche foglia di menta, 2 foglie di lattuga, 2 gambi di sedano, un cetriolo piccolo, un pezzetto di zenzero fresco, succo di limone e un pizzico di pepe. Allungare con acqua fresca e frullare.
2 zucchine, 2 foglie di lattuga, 1 cucchiaino di paprica, un pezzetto di avocado, succo di limone, un pizzico di sale e pepe. Frullare, allungare con acqua e servire accompagnato da una fetta di limone.
5 foglie di cavolo, una pera e una mela, mezza banana, cannella e succo di limone. Frullare aggiungendo un poco di acqua.
3 pomodorini sbollentati e pelati, 1 gambo di sedano, mezza carota, un pezzetto di cetriolo, un pizzico di pepe e uno di aneto, un pezzettino di peperone. Frullare tutto assieme con poca acqua.
1 barbabietola, 1 peperone, il succo di mezzo limone, due gambi di sedano, tre ravanelli e mezzo cetriolo. Frullare tutto assieme con poca acqua.
1 avocado, 1 cetriolo, mezzo porro, 1 ravanello, uno spicchio d’aglio, succo di limone e un pezzettino di zenzero. Frullare e allungare con acqua, con latte di cocco o latte di mandorla.
Chi sono
- S.M.Geesbrug
- Una nuova vita in campagna con un marito, un numero variabile di gatti e un cane con un solo neurone. La passione per la musica classica e per i borghi medievali, per la spiritualità dei Nativi Americani e per i misteri irrisolti, per le autoproduzioni e il vivere consapevole. Questa è la mia vita. Queste sono le mie storie.
giovedì 31 marzo 2016
domenica 28 febbraio 2016
Il nostro mondo è cambiato e certe cose non torneranno più
Una volta telefonavamo infilando il dito in una ruota, dopo aver cercato il numero su un elenco telefonico che cambiava ogni anno, e guai se non riconsegnavi quello vecchio. Ascoltavamo la musica mettendo una cassetta di plastica dentro un walkman grande come un libro tascabile, magari dopo averla riavvolta con una Bic per fare più alla svelta e per risparmiare le pile, che duravano sempre troppo poco. I più fortunati avevano un videoregistratore attaccato a un televisore largo abbastanza da poterci mettere sopra la gondola-souvenir di Venezia, un orologio meccanico con la gallina che becchetta misurando i secondi, e un gatto. Se volevamo fare una foto al gatto dovevamo prendere una macchina fotografica e metterci dentro un rullino nuovo, sperando che nel frattempo non se ne fosse andato o non avesse fatto cadere la gondola e la sveglia.



Adesso la musica la ascoltiamo con il nostro telefono, che è poco più grande di una di quelle vecchie e inutili schede telefoniche, e volendo fa anche le foto al gatto senza bisogno della pellicola. Il gatto però non sta più sul televisore assieme alla gondola-souvenir di Venezia e alla gallina che becchetta all’infinito, perché il televisore è largo due dita, i souvenir non li compriamo più, e la gallina ha smesso da anni di becchettare. Se vogliamo un ricordo di Venezia ci facciamo un selfie davanti al ponte di Rialto, e per sapere che ore sono basta il telefono.
I nostri computer spesso stanno anch’essi nel telefono, oppure dentro un tablet largo pochi centimetri che si fa funzionare con le dita. Lo schermo del tablet si sporca, ma è comunque di soddisfazione. I nostri dati li salviamo dentro delle chiavette decisamente più sexy dei dischetti quadrati di plastica, e a volte non facciamo neanche questo e li immagazziniamo dentro uno spazio virtuale all’interno di un server che magari sta all’altro capo del mondo.
I più tradizionalisti hanno un computer portatile con la tastiera dove spesso va a dormire il gatto orfano della vecchia televisione. Anche il più piccolo è potente come un condominio di vecchi computer C:\. Una volta richiuso è grande come bloc notes ed è ugualmente apprezzato dal gatto.
Sì, il nostro mondo è decisamente cambiato, e certe cose non torneranno più. E forse è vero che il futuro non è più quello di una volta, quando sognavamo viaggi nello spazio e auto volanti, ma anche così non è poi tanto male…



I nostri computer erano grandi quanto i televisori, ed erano pesanti.
Quando li accendevi compariva la scritta C:\ su un fondo nero, e per
salvare i nostri dati dovevamo infilare in un’apposita fessura degli
appositi dischetti contenuti in involucri di plastica. Chi li aveva li
esibiva orgoglioso sull’autobus o in metropolitana, sentendosi un
eletto, il rappresentante di una casta in grado di dominare le nuove
tecnologie, e non si rendeva conto di stare tenendo in mano
l’equivalente di un osso di brontosauro.
Quando eravamo fuori casa e avevamo bisogno di telefonare, dovevamo
cercare una cabina del telefono. Una volta funzionavano solo con i
gettoni, che nella mia memoria valevano sempre 200 lire e a volte te li
davano come resto al supermercato. Poi sono diventati più moderni e
accettavano qualunque moneta, ma solo dalle 100 lire in su, e al posto
della ruota da girare con un dito c’erano dei tasti da premere con lo
stesso dito. Più avanti ancora funzionavano anche con delle schede che
qualcuno collezionava. Mi chiedo quante siano le persone che hanno
ancora i cassetti pieni di questi piccoli oggetti, emblemi di
un’inutilità elevata all’ennesima potenza.



Adesso la musica la ascoltiamo con il nostro telefono, che è poco più grande di una di quelle vecchie e inutili schede telefoniche, e volendo fa anche le foto al gatto senza bisogno della pellicola. Il gatto però non sta più sul televisore assieme alla gondola-souvenir di Venezia e alla gallina che becchetta all’infinito, perché il televisore è largo due dita, i souvenir non li compriamo più, e la gallina ha smesso da anni di becchettare. Se vogliamo un ricordo di Venezia ci facciamo un selfie davanti al ponte di Rialto, e per sapere che ore sono basta il telefono.
I nostri computer spesso stanno anch’essi nel telefono, oppure dentro un tablet largo pochi centimetri che si fa funzionare con le dita. Lo schermo del tablet si sporca, ma è comunque di soddisfazione. I nostri dati li salviamo dentro delle chiavette decisamente più sexy dei dischetti quadrati di plastica, e a volte non facciamo neanche questo e li immagazziniamo dentro uno spazio virtuale all’interno di un server che magari sta all’altro capo del mondo.
I più tradizionalisti hanno un computer portatile con la tastiera dove spesso va a dormire il gatto orfano della vecchia televisione. Anche il più piccolo è potente come un condominio di vecchi computer C:\. Una volta richiuso è grande come bloc notes ed è ugualmente apprezzato dal gatto.
Sì, il nostro mondo è decisamente cambiato, e certe cose non torneranno più. E forse è vero che il futuro non è più quello di una volta, quando sognavamo viaggi nello spazio e auto volanti, ma anche così non è poi tanto male…
martedì 16 febbraio 2016
Rigenerazione - Atto finale
Di solito questi pensieri mi vengono a primavera, quando il sole è tiepido e le prime belle giornate ti fanno venire voglia di liberare anche la mente, non solo la casa, dalla polvere accumulata durante l'inverno. Stavolta è successo prima, complice forse la mezza giornata di tregua dalle piogge (comunque benvenute dopo mesi di siccità): sono andata nello studiolo, ho tirato i cassettoni sotto il divano-letto e ho tirato fuori i vecchi libri di libri di scuola e di università. Ne avevo già eliminati alcuni, regalati oppure prestati e mai più tornati indietro. Mi ero tenuta quelli a cui ero più assurdamente affezionata, ben sapendo che non li avrei mai più riaperti, nemmeno se mi fosse venuto lo sfizio di andare a recuperare qualche vecchia nozione. Perché il mondo nel frattempo è cambiato, e libri e manuali hanno lasciato il posto a google e wikipedia, e se proprio avessi avuto l’insana voglia di approfondire qualcuno di quegli argomenti, avrei sempre potuto andare in una vecchia, cara biblioteca.
Così ho spedito verso il loro ultimo viaggio le dispense di geologia, gli appunti di chimica, le relazioni di elettronica, i libri delle superiori sfogliati e risfogliati, e tutti gli appunti di cinque anni di esami all’università; non essere riuscita a laurearmi è il grande cruccio della mia vita. Nulla per cui non dorma alla notte, chiaro, ma mi dispiace comunque.
La fotocopia del libretto universitario è una delle poche cose che ho tenuto di quegli anni, assieme al libro di chimica (che era costato un patrimonio e sembra un antico tomo da biblioteca polverosa)
e la tavola periodica degli elementi, chissà poi perché. Avevo una buona media, non eccelsa ma decente, però ho dovuto lasciar perdere per uno di quei motivi che erano scritti nei miei diari e adesso saranno già stati trasformati in uno scatolone da una cartiera. Ma non cerco alibi, avrei comunque interrotto gli studi perché ero consapevole che non avrei mai passato lo scoglio di un esame dal nome altisonante di Meccanica Razionale. Evoca grandiosi scenari di conoscenza su uno sfondo di cieli stellati e nebulose, e invece tutto si riassumeva in incomprensibili problemi di dischi in movimento collegati tramite perni e pulegge ad altri dischi più grandi. Ogni volta che guardavo uno di quegli esercizi mi tornava in mente la maestra delle elementari, la terribile signorina Marangoni, e i suoi altrettanto incomprensibili problemi di vasche forate che si riempivano sempre più velocemente di quanto si svuotassero. Lei voleva da me delle risposte che io non sapevo darle (“se entrano 10 litri al secondo ed escono 8 litri al secondo, quanto tempo ci vuole prima che la vasca si riempia e l’acqua esca fuori?”)… o meglio, avrei potuto anche dargliele, ma anche allora ero una bambina molto pratica e non capivo perché non si potesse semplicemente chiudere il rubinetto prima che succedesse il disastro, e questa mia praticità spicciola mi bloccava. E in fondo mi faceva anche sentire in colpa, non solo perché ero una scolara asina, ma anche perché a causa della mia ignoranza la casa si sarebbe presto allagata e l’acqua avrebbe tracimato fino al piano di sotto – e poi chi lo sentiva lo scultore del secondo piano? Ecco, la Meccanica Razionale era la stessa cosa. Il fatto di non vedere un’applicazione immediata e pratica della suddetta materia alla vita reale mi impediva di comprendere, e senza comprensione non avrei mai potuto superare l’esame.
La stessa cosa era successa con l’esame di Geometria, che a dispetto del nome dimesso non si occupava affatto di cerchi e triangoli, ma era la chiave per comprendere anche il multiverso e la meccanica quantistica. L’ho capito troppo tardi, quando ormai mi ero accontentata di un 18 e avevo già deciso di mollare. Peccato. Oppure no? Forse semplicemente non era destino, o forse anche l’università è qualcosa per cui occorre aspettare il momento giusto. Forse potrei ricominciare a studiare adesso che ho più di quarant’anni e i capelli iniziano a ingrigire, facendo tesoro del bagaglio di esperienze e conoscenze accumulate nei venticinque anni che sono passati dal diploma.
…ma forse ci sono troppi forse in questo discorso. Quello che so per certo è che anche questo pezzo della mia vita domani finirà nella pancia del camion della raccolta differenziata, e adesso mi sento più leggera.
Così ho spedito verso il loro ultimo viaggio le dispense di geologia, gli appunti di chimica, le relazioni di elettronica, i libri delle superiori sfogliati e risfogliati, e tutti gli appunti di cinque anni di esami all’università; non essere riuscita a laurearmi è il grande cruccio della mia vita. Nulla per cui non dorma alla notte, chiaro, ma mi dispiace comunque.
La fotocopia del libretto universitario è una delle poche cose che ho tenuto di quegli anni, assieme al libro di chimica (che era costato un patrimonio e sembra un antico tomo da biblioteca polverosa)
e la tavola periodica degli elementi, chissà poi perché. Avevo una buona media, non eccelsa ma decente, però ho dovuto lasciar perdere per uno di quei motivi che erano scritti nei miei diari e adesso saranno già stati trasformati in uno scatolone da una cartiera. Ma non cerco alibi, avrei comunque interrotto gli studi perché ero consapevole che non avrei mai passato lo scoglio di un esame dal nome altisonante di Meccanica Razionale. Evoca grandiosi scenari di conoscenza su uno sfondo di cieli stellati e nebulose, e invece tutto si riassumeva in incomprensibili problemi di dischi in movimento collegati tramite perni e pulegge ad altri dischi più grandi. Ogni volta che guardavo uno di quegli esercizi mi tornava in mente la maestra delle elementari, la terribile signorina Marangoni, e i suoi altrettanto incomprensibili problemi di vasche forate che si riempivano sempre più velocemente di quanto si svuotassero. Lei voleva da me delle risposte che io non sapevo darle (“se entrano 10 litri al secondo ed escono 8 litri al secondo, quanto tempo ci vuole prima che la vasca si riempia e l’acqua esca fuori?”)… o meglio, avrei potuto anche dargliele, ma anche allora ero una bambina molto pratica e non capivo perché non si potesse semplicemente chiudere il rubinetto prima che succedesse il disastro, e questa mia praticità spicciola mi bloccava. E in fondo mi faceva anche sentire in colpa, non solo perché ero una scolara asina, ma anche perché a causa della mia ignoranza la casa si sarebbe presto allagata e l’acqua avrebbe tracimato fino al piano di sotto – e poi chi lo sentiva lo scultore del secondo piano? Ecco, la Meccanica Razionale era la stessa cosa. Il fatto di non vedere un’applicazione immediata e pratica della suddetta materia alla vita reale mi impediva di comprendere, e senza comprensione non avrei mai potuto superare l’esame.
La stessa cosa era successa con l’esame di Geometria, che a dispetto del nome dimesso non si occupava affatto di cerchi e triangoli, ma era la chiave per comprendere anche il multiverso e la meccanica quantistica. L’ho capito troppo tardi, quando ormai mi ero accontentata di un 18 e avevo già deciso di mollare. Peccato. Oppure no? Forse semplicemente non era destino, o forse anche l’università è qualcosa per cui occorre aspettare il momento giusto. Forse potrei ricominciare a studiare adesso che ho più di quarant’anni e i capelli iniziano a ingrigire, facendo tesoro del bagaglio di esperienze e conoscenze accumulate nei venticinque anni che sono passati dal diploma.
…ma forse ci sono troppi forse in questo discorso. Quello che so per certo è che anche questo pezzo della mia vita domani finirà nella pancia del camion della raccolta differenziata, e adesso mi sento più leggera.
giovedì 4 febbraio 2016
Olio di semi di zucca
Curiosi come siamo di scoprire e assaggiare nuove cose, durante una nostra vacanza in Alto Adige abbiamo provato l’olio di semi di zucca, ed è stato amore a prima vista!
Praticamente sconosciuto a sud di Bolzano, questo olio è invece molto conosciuto e apprezzato in Austria, in Germania e in altri paesi del Centro e Est Europa. Quello più rinomato è originario della Stiria, ed è tutelato come prodotto a Indicazione Geografica Protetta. Si ottiene dalla spremitura a freddo dei semi di zucca, ed è un prodotto naturale e non raffinato. E' di colore verde scurissimo, quasi marrone, e ha un sapore molto particolare che ricorda allo stesso tempo le nocciole e la carne arrosto... davvero! Va bene per insaporire praticamente di tutto: noi lo abbiamo provato sulle insalate, sui cereali, sul riso e sulla pasta, sulle uova e sui formaggi, sulle verdure al vapore... In Alto Adige lo avevamo provato anche sulle carni, e si abbina perfettamente anche con quelle. E' un olio che va usato a freddo, aggiunto alla fine sui cibi da insaporire. Onestamente non l'ho mai provato in preparazione cucinate, perché non mi da l'idea di essere un olio che regge bene le cotture. Per i cibi che vanno in forno o cuociono a lungo sul fuoco preferisco usare l'extravergine.
Oltre ad essere buonissimo, ha anche tante ottime qualità che lo rendono prezioso per la nostra salute. Intanto è ricco di minerali come lo zinco e vitamine, specialmente la vitamina E antiossidante, e ha inoltre un alto contenuto di acido oleico e linoleico, acidi grassi buoni che aiutano a tenere basso il livello di grassi nel sangue. Contiene anche steroli vegetali che ci aiutano a combattere il colesterolo, ma soprattutto (e questo vale per i nostri amici uomini), l'olio di semi di zucca è considerato un valido ausilio per i problemi alla prostata, visto che contiene sostanze in grado di proteggerla.
Insomma, e buono e fa pure bene, quindi lo utilizziamo quasi quotidianamente! Oltretutto, per il fatto di essere naturalmente saporito, c'è bisogno di meno sale per condire i cibi, e anche questo fa bene alla salute! Io di solito lo uso in combinazione con semi di cumino e semi di cardamomo macinati, e il risultato è un mix delizioso che si sposa benissimo soprattutto con le verdure cotte di ogni tipo.
L'unico problema di questo prodotto meraviglioso è la sua scarsa reperibilità. Come dicevo all'inizio, a sud di Bolzano è difficilissimo da trovare, e comunque anche in Alto Adige non c'è dappertutto. Fuori dal Sud Tirolo lo si trova solo nei supermercati di prodotti bio più grandi e forniti, e poi naturalmente si può comprare su internet, ma costa uno sproposito, e già non è che sia un prodotto economico di suo (anche se comunque vale ogni centesimo di quello che costa). Se avete la possibilità di passare per l'Alto Adige, per una vacanza o se amate magari andare ai mercatini di Natale, lo potete trovare nella catena di supermercati MPREIS : qui i punti vendita
(beh sì, il sito è in tedesco, ma anche se non capite un accidente di quello che c'è scritto, lo store locator è intuitivo da comprendere: l'Austria è la parte azzurra della cartina, l'Alto Adige è quella bianca)
Tutti quelli a cui lo abbiamo fatto assaggiare hanno apprezzato, quindi ve lo consiglio!
Praticamente sconosciuto a sud di Bolzano, questo olio è invece molto conosciuto e apprezzato in Austria, in Germania e in altri paesi del Centro e Est Europa. Quello più rinomato è originario della Stiria, ed è tutelato come prodotto a Indicazione Geografica Protetta. Si ottiene dalla spremitura a freddo dei semi di zucca, ed è un prodotto naturale e non raffinato. E' di colore verde scurissimo, quasi marrone, e ha un sapore molto particolare che ricorda allo stesso tempo le nocciole e la carne arrosto... davvero! Va bene per insaporire praticamente di tutto: noi lo abbiamo provato sulle insalate, sui cereali, sul riso e sulla pasta, sulle uova e sui formaggi, sulle verdure al vapore... In Alto Adige lo avevamo provato anche sulle carni, e si abbina perfettamente anche con quelle. E' un olio che va usato a freddo, aggiunto alla fine sui cibi da insaporire. Onestamente non l'ho mai provato in preparazione cucinate, perché non mi da l'idea di essere un olio che regge bene le cotture. Per i cibi che vanno in forno o cuociono a lungo sul fuoco preferisco usare l'extravergine.
Oltre ad essere buonissimo, ha anche tante ottime qualità che lo rendono prezioso per la nostra salute. Intanto è ricco di minerali come lo zinco e vitamine, specialmente la vitamina E antiossidante, e ha inoltre un alto contenuto di acido oleico e linoleico, acidi grassi buoni che aiutano a tenere basso il livello di grassi nel sangue. Contiene anche steroli vegetali che ci aiutano a combattere il colesterolo, ma soprattutto (e questo vale per i nostri amici uomini), l'olio di semi di zucca è considerato un valido ausilio per i problemi alla prostata, visto che contiene sostanze in grado di proteggerla.
Insomma, e buono e fa pure bene, quindi lo utilizziamo quasi quotidianamente! Oltretutto, per il fatto di essere naturalmente saporito, c'è bisogno di meno sale per condire i cibi, e anche questo fa bene alla salute! Io di solito lo uso in combinazione con semi di cumino e semi di cardamomo macinati, e il risultato è un mix delizioso che si sposa benissimo soprattutto con le verdure cotte di ogni tipo.
L'unico problema di questo prodotto meraviglioso è la sua scarsa reperibilità. Come dicevo all'inizio, a sud di Bolzano è difficilissimo da trovare, e comunque anche in Alto Adige non c'è dappertutto. Fuori dal Sud Tirolo lo si trova solo nei supermercati di prodotti bio più grandi e forniti, e poi naturalmente si può comprare su internet, ma costa uno sproposito, e già non è che sia un prodotto economico di suo (anche se comunque vale ogni centesimo di quello che costa). Se avete la possibilità di passare per l'Alto Adige, per una vacanza o se amate magari andare ai mercatini di Natale, lo potete trovare nella catena di supermercati MPREIS : qui i punti vendita
(beh sì, il sito è in tedesco, ma anche se non capite un accidente di quello che c'è scritto, lo store locator è intuitivo da comprendere: l'Austria è la parte azzurra della cartina, l'Alto Adige è quella bianca)
Tutti quelli a cui lo abbiamo fatto assaggiare hanno apprezzato, quindi ve lo consiglio!
sabato 9 gennaio 2016
Pasta di mandorle facile facile
Su richiesta del mio papà, mi scuoto dal torpore invernale per offrirvi la ricetta dei pasticcini di pasta di mandorle. Questi pasticcini mi sono sempre piaciuti tantissimo, ma chissà perché avevo in testa che fossero difficili da fare. Invece ho scoperto che sono molto semplici e da allora li faccio spesso, anche da regalare. Quest'anno li ho messi nei miei cestini natalizi e hanno avuto un successone!
Per fare la pasta di mandorle occorrono:
200 g di mandorle (se le trovate già tritate fate prima!)
150 g di zucchero di canna
2 albumi
1 fialetta di aroma di mandorla
mandorle, pistacchi o canditi per decorazione.
Tritate grossolanamente le mandorle con il mixer (io uso il macinacaffè), poi aggiungete lo zucchero e tritatele di nuovo per rendere il tutto il più fine possibile.
Mettete tutto in una ciotola, aggiungete gli albumi e la fialetta di aroma e mescolate bene fino a ottenere una massa omogenea leggermente appiccicosa. A questo punto la pasta è pronta per essere modellata. In teoria bisognerebbe mettere l'impasto a piccole dosi in una sac à poche o in una siringa per dolci con il beccuccio rigato, tipo quello per fare i ciuffi di panna montata, e spremere l'impasto per formare i pasticcini di forma classica, ma l'impasto è piuttosto duro, quindi per evitare di fare una fatica bestiale ho fatto delle semplici palline sulle quali ho poi messo una mandorla o un pistacchio (i canditi non mi piacciono...), ma potete fare altre anche altre forme: io ad esempio ne faccio anche una versione per Halloween, le 'Dita di Strega'...
(il procedimento per l'impasto è identico, create le dita formando tanti bastoncini, fate dei taglietti per fare le nocche rugose, e le unghie malefiche sono fatte con una mandorla!)
Una volta fatti i pasticcini, disponeteli su un foglio di carta da forno e lasciateli asciugare per 12 ore, possibilmente all'aria. Se proprio non potete lasciarli scoperti, metteteli nel forno spento tenendo lo sportello leggermente aperto. I pasticcini vanno cotti a 180°C per circa 10-15 minuti a seconda delle dimensioni. Dovranno risultare sodi (ma non duri) all'esterno e morbidi (ma non crudi) all'interno: la pasta cotta è più chiara della pasta cruda, quindi vi basterà aprire un pasticcino per verificare la cottura.
Fate raffreddare, spolverate con lo zucchero a velo se volete, e poi mettete i pasticcini in una scatola di latta o un sacchetto di plastica. Durano a lungo (se non li finite prima!) e come ho detto sono anche una bella idea regalo per ogni stagione!
Come variante, potete fare dei pasticcini ricoperti con il cioccolato fuso, o usare la pasta di mandorle come cuore morbido per una torta.
Per fare la pasta di mandorle occorrono:
200 g di mandorle (se le trovate già tritate fate prima!)
150 g di zucchero di canna
2 albumi
1 fialetta di aroma di mandorla
mandorle, pistacchi o canditi per decorazione.
Tritate grossolanamente le mandorle con il mixer (io uso il macinacaffè), poi aggiungete lo zucchero e tritatele di nuovo per rendere il tutto il più fine possibile.
Mettete tutto in una ciotola, aggiungete gli albumi e la fialetta di aroma e mescolate bene fino a ottenere una massa omogenea leggermente appiccicosa. A questo punto la pasta è pronta per essere modellata. In teoria bisognerebbe mettere l'impasto a piccole dosi in una sac à poche o in una siringa per dolci con il beccuccio rigato, tipo quello per fare i ciuffi di panna montata, e spremere l'impasto per formare i pasticcini di forma classica, ma l'impasto è piuttosto duro, quindi per evitare di fare una fatica bestiale ho fatto delle semplici palline sulle quali ho poi messo una mandorla o un pistacchio (i canditi non mi piacciono...), ma potete fare altre anche altre forme: io ad esempio ne faccio anche una versione per Halloween, le 'Dita di Strega'...
(il procedimento per l'impasto è identico, create le dita formando tanti bastoncini, fate dei taglietti per fare le nocche rugose, e le unghie malefiche sono fatte con una mandorla!)
Una volta fatti i pasticcini, disponeteli su un foglio di carta da forno e lasciateli asciugare per 12 ore, possibilmente all'aria. Se proprio non potete lasciarli scoperti, metteteli nel forno spento tenendo lo sportello leggermente aperto. I pasticcini vanno cotti a 180°C per circa 10-15 minuti a seconda delle dimensioni. Dovranno risultare sodi (ma non duri) all'esterno e morbidi (ma non crudi) all'interno: la pasta cotta è più chiara della pasta cruda, quindi vi basterà aprire un pasticcino per verificare la cottura.
Fate raffreddare, spolverate con lo zucchero a velo se volete, e poi mettete i pasticcini in una scatola di latta o un sacchetto di plastica. Durano a lungo (se non li finite prima!) e come ho detto sono anche una bella idea regalo per ogni stagione!
Come variante, potete fare dei pasticcini ricoperti con il cioccolato fuso, o usare la pasta di mandorle come cuore morbido per una torta.
martedì 10 novembre 2015
Autunno...
Anche
se fa un caldo dell’accidente e pare di essere in primavera inoltrata (…con
buona pace di chi non crede al riscaldamento globale: venti gradi al 10
di novembre è tutto tranne che normale)
è comunque autunno! E l’autunno
mi piace tantissimo, forse più dell’inverno – che per me ha un senso solo
se nevica, altrimenti è una stagione un po’ insulsa.
Mi
piace l’autunno perché…
Beh, per prima cosa perché nonostante tutto fa fresco, e di questi tempi non è cosa
da poco. E poi perché dopo una pioggia d’autunno la terra prende un odore più
buono di quello che si sente dopo una pioggia estiva. È più forte, più
penetrante, più buono, e ha il potere di riportarmi istantaneamente alla mia
infanzia quando andavo in montagna a far castagne con mamma e papà.
In
autunno finiscono i lavori in giardino e finalmente ci si può concedere un poco
di riposo. Si ha più tempo per leggere, per scrivere, per le autoproduzioni e
per sistemare la casa. Si ricominciano a mangiare zuppe e polente, castagne e
funghi e zucche, e anche le mele al forno con la cannella, che sono una
ghiottoneria e fanno subito pensare al Natale; le si può mangiare anche in
estate, non lo vieta nessuno, ma sono un po’ posticce e non hanno lo stesso
sapore.
E poi possiamo finalmente gustarci una tazza di tè o una tisana, magari
alla sera davanti alla tv con un gatto che ci sonnecchia sulle ginocchia.
I colori, in autunno, sono bellissimi. Certo, non abbiamo lo spettacolo
strepitoso dei colori del nord America perché da noi manca il rosso degli
aceri, ma anche così le nostre montagne e le nostre campagne riescono lo stesso
a scaldare il cuore. E anche il giardino più banale o il parco più spelacchiato
in autunno diventano spettacolari.
Ma
forse la cosa che più mi piace dell’autunno è che si comincia ad accendere la
stufa, e questo per me è uno dei piccoli, grandi piaceri della vita. Anche il
calorifero scalda, ma chiunque lo abbia sperimentato sa che il calore del fuoco
scalda in maniera diversa.
Il caldo del termosifone si ferma alla pelle, il
fuoco riesce a raggiungere il cuore e la nostra anima più profonda, e va a
toccare corde nascoste nella nostra memoria. Che non è fatta solo dai nostri
ricordi, ma anche da quelli dei nostri genitori, e dei loro genitori, e di
tutti gli antenati che ci hanno preceduto, che almeno un giorno della loro vita
hanno allungato le mani verso il fuoco per scaldarsi. E ogni volta che faccio
partire la stufa ripetendo gesti antichi come il mondo – gesti che ho scoperto
di avere dentro di me senza bisogno che qualcuno me li insegnasse – mi sembra
quasi di sentire quegli antichi e sconosciuti progenitori annuire soddisfatti
per quello che sto facendo.
mercoledì 14 ottobre 2015
Rigenerazione d'autunno
Mi ci è
voluto un po’ per affrontare il Moloch, lo scatolone da me accuratamente
relegato nell’angolo più scomodo del garage, quello che conteneva tutti i miei
diari. Ricordo che quando ero piccolina, diciamo sette o otto anni, il diario
era un regalo consueto, il tipico dono degli scarsi di fantasia che permetteva
loro di trarsi d’impaccio con poco, facendo comunque bella figura.
Chissà se
nel nuovo millennio esistono ancora diari come quelli?
Lo
detestavo, soprattutto per via di quel lucchetto che prometteva segretezza e
inviolabilità e invece si poteva forzare con una forcina per capelli. Ci
scribacchiavo su qualche cosa, pensierini confusi e qualche disegno, e
inevitabilmente dopo qualche tempo finivano dimenticati in un angolo per poi
essere buttati alla prima occasione (e allora non c’era neanche la raccolta
differenziata; finivano in discarica o negli inceneritori).
Come per tante
altre cose, forse per tutte le cose, non era ancora il suo tempo. Sarebbe venuto
molti anni dopo, quando ero al primo anno delle superiori. Era primavera
inoltrata, avevo 14 anni e abitavo ancora nella casa dove ero cresciuta… molte
vite fa, a pensarci bene. Credo di avere cominciato per il motivo per cui tutti
iniziano a tenere un diario: per parlare liberamente di tutto quello che mi
passava per la testa senza timore di essere interrotta, giudicata o non capita.
Scrivevo sui quaderni di scuola, più avanti anche su un paio di Smemoranda, ma
solo perché lo facevano tutte le mie amiche ed ero stufa di sentirmi l’unica
cretina al mondo che non ce l’aveva. Anno dopo anno, pagina dopo pagina, avevo
scritto abbastanza da riempire uno scatolone enorme e pesantissimo, che mi ha
seguito trasloco dopo trasloco fin qui in campagna, ma ho sempre avuto un cattivo rapporto con quei
quaderni e più di una volta ho avuto la tentazione di gettarli via.
Ho
continuato a tenere il diario finché non ho scoperto un altro modo per parlare
liberamente di tutto quello che mi passava per la testa, che poi è scrivere
storie. E quando ho capito che questo è molto più divertente, entusiasmante,
faticoso e stimolante di scrivere banali resoconti delle mie giornate, i diari
sono finiti nell’angolo più scomodo del garage, quello dove non vado mai, e
dove lo sguardo non arriva mai. Era il 2003, e da allora non ho mai più
riaperto quello scatolone. Fino ad ora. Di solito l’impulso a fare certe cose
mi arriva in primavera, quando il sole intiepidisce l’aria e si cominciano a
tenere le finestre aperte, e si vede tutta la polvere che c’è attorno e la
voglia di fare pulizia sgorga dal profondo dell’anima; oppure in autunno,
quando i primi freschi spingono a rintanarsi in casa e a far pulizie in vista
dell’inverno. E per me è uno stimolo potente, simile a quello che spinge gli
animali a migrare.
Il richiamo
dello scatolone si faceva di anno in anno sempre più difficile da ignorare,
così ho deciso che questa sarebbe stata la volta buona di affrontare il Moloch.
Ho aspettato che il mio maritone andasse al lavoro, sono scesa, ho scostato la
vecchia affettatrice di mia suocera e l’acquario che mi ostino a tenere
nonostante non abbia più i pesci da anni, e ho tirato la scatola in mezzo al
garage. Non ho riletto nessuno di quei vecchi quaderni. Mi sono limitata a
sfogliarli sommariamente per rimuovere tutte le cose che da ragazzina amavo
incollare sulle pagine e che non potevo gettare assieme alla carta. Ne è venuto
fuori un mucchietto alquanto eterogeneo… peccato che avessi il cellulare
scarico perché avrebbe meritato una foto. C’erano dischetti del computer e
vecchie monete, microchip e led rubati nel laboratorio di elettronica alle
superiori, stringhe delle scarpe, un posacenere di alluminio, portamonete e
campioncini di bagnoschiuma, targhette di ogni tipo e un pezzo della spugna che
fungeva da cancellino della lavagna, oggetto diventato di culto nella mia classe dopo essere
finito in cima a un albero per mano mia.
Ho tenuto qualcosa, come i vecchi dischetti del computer che a loro modo sono una testimonianza del passato. E poi la copertina di uno di quei diari, quella con su un procione e il numero 14 stampato con i trasferelli, per ricordare a me stessa che niente accade mai per caso (...frase un po' criptica. Un giorno o l'altro ne spiegherò il senso)
Non ho
riletto nessuna delle parole scritte su quei quaderni, me ne sono guardata
bene. Il mio passato non è sempre stato felice, e non avevo nessuna voglia di
andare a scoperchiare vecchi vasi di Pandora e andare a rinnovare dolori e
paturnie che faticosamente ero riuscita a lasciarmi alle spalle… tutte le esperienze
poco edificanti, le mille paturnie adolescenziali, le paure per i compiti in
classe, i piccoli e grandi batticuori per un ragazzo, i problemi con mia madre...
Ma non ho
letto niente neanche quando sapevo che su quel particolare quaderno avrei
trovato degli episodi più piacevoli e innocui, perché comunque quei pensieri
appartenevano ad una persona diversa da quella che sta scrivendo queste righe,
e per me non significavano più niente. Sarebbe stato come leggere i racconti di
un estraneo. Il passato è passato, sta bene dove sta, e nel mio caso adesso sta
bene nella pancia del camion della raccolta della carta. Diventerà altra carta
con la quale magari realizzeranno un altro diario per ragazzine, o uno
scatolone dove stivare vecchie memorie, e il cerchio si chiuderà. Per conto
mio adesso mi sento più leggera.
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