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Una nuova vita in campagna con un marito, un numero variabile di gatti e un cane con un solo neurone. La passione per la musica classica e per i borghi medievali, per la spiritualità dei Nativi Americani e per i misteri irrisolti, per le autoproduzioni e il vivere consapevole. Questa è la mia vita. Queste sono le mie storie.

martedì 16 febbraio 2016

Rigenerazione - Atto finale

Di solito questi pensieri mi vengono a primavera, quando il sole è tiepido e le prime belle giornate ti fanno venire voglia di liberare anche la mente, non solo la casa, dalla polvere accumulata durante l'inverno. Stavolta è successo prima, complice forse la mezza giornata di tregua dalle piogge (comunque benvenute dopo mesi di siccità): sono andata nello studiolo, ho tirato i cassettoni sotto il divano-letto e ho tirato fuori i vecchi libri di libri di scuola e di università. Ne avevo già eliminati alcuni, regalati oppure prestati e mai più tornati indietro. Mi ero tenuta quelli a cui ero più assurdamente affezionata, ben sapendo che non li avrei mai più riaperti, nemmeno se mi fosse venuto lo sfizio di andare a recuperare qualche vecchia nozione. Perché il mondo nel frattempo è cambiato, e libri e manuali hanno lasciato il posto a google e wikipedia, e se proprio avessi avuto l’insana voglia di approfondire qualcuno di quegli argomenti, avrei sempre potuto andare in una vecchia, cara biblioteca.
Così ho spedito verso il loro ultimo viaggio le dispense di geologia, gli appunti di chimica, le relazioni di elettronica, i libri delle superiori sfogliati e risfogliati, e tutti gli appunti di cinque anni di esami all’università; non essere riuscita a laurearmi è il grande cruccio della mia vita. Nulla per cui non dorma alla notte, chiaro, ma mi dispiace comunque.
La fotocopia del libretto universitario è una delle poche cose che ho tenuto di quegli anni, assieme al libro di chimica (che era costato un patrimonio e sembra un antico tomo da biblioteca polverosa)


e la tavola periodica degli elementi, chissà poi perché. Avevo una buona media, non eccelsa ma decente, però ho dovuto lasciar perdere per uno di quei motivi che erano scritti nei miei diari e adesso saranno già stati trasformati in uno scatolone da una cartiera. Ma non cerco alibi, avrei comunque interrotto gli studi perché ero consapevole che non avrei mai passato lo scoglio di un esame dal nome altisonante di Meccanica Razionale. Evoca grandiosi scenari di conoscenza su uno sfondo di cieli stellati e nebulose, e invece tutto si riassumeva in incomprensibili problemi di dischi in movimento collegati tramite perni e pulegge ad altri dischi più grandi. Ogni volta che guardavo uno di quegli esercizi mi tornava in mente la maestra delle elementari, la terribile signorina Marangoni, e i suoi altrettanto incomprensibili problemi di vasche forate che si riempivano sempre più velocemente di quanto si svuotassero. Lei voleva da me delle risposte che io non sapevo darle (“se entrano 10 litri al secondo ed escono 8 litri al secondo, quanto tempo ci vuole prima che la vasca si riempia e l’acqua esca fuori?”)… o meglio, avrei potuto anche dargliele, ma anche allora ero una bambina molto pratica e non capivo perché non si potesse semplicemente chiudere il rubinetto prima che succedesse il disastro, e questa mia praticità spicciola mi bloccava. E in fondo mi faceva anche sentire in colpa, non solo perché ero una scolara asina, ma anche perché a causa della mia ignoranza la casa si sarebbe presto allagata e l’acqua avrebbe tracimato fino al piano di sotto – e poi chi lo sentiva lo scultore del secondo piano? Ecco, la Meccanica Razionale era la stessa cosa. Il fatto di non vedere un’applicazione immediata e pratica della suddetta materia alla vita reale mi impediva di comprendere, e senza comprensione non avrei mai potuto superare l’esame.
La stessa cosa era successa con l’esame di Geometria, che a dispetto del nome dimesso non si occupava affatto di cerchi e triangoli, ma era la chiave per comprendere anche il multiverso e la meccanica quantistica. L’ho capito troppo tardi, quando ormai mi ero accontentata di un 18 e avevo già deciso di mollare. Peccato. Oppure no? Forse semplicemente non era destino, o forse anche l’università è qualcosa per cui occorre aspettare il momento giusto. Forse potrei ricominciare a studiare adesso che ho più di quarant’anni e i capelli iniziano a ingrigire, facendo tesoro del bagaglio di esperienze e conoscenze accumulate nei venticinque anni che sono passati dal diploma.

…ma forse ci sono troppi forse in questo discorso. Quello che so per certo è che anche questo pezzo della mia vita domani finirà nella pancia del camion della raccolta differenziata, e adesso mi sento più leggera.

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