In fondo al garage, dentro una cassetta di legno della frutta, c'erano un televisore preistorico, una stufetta elettrica vecchia di decenni e un sacchetto pieno di caricabatterie di cellulari ormai defunti. Stamattina sono andata all'isola ecologica a gettare queste cose, come in passato avevo fatto per il videoregistratore, per il telefono cordless, per i vecchi tv a tubo catodico e per tante altre cose ancora.
Sono finite in
un cassone pieno di altri oggetti simili. Oggetti il più delle volte perfettamente funzionanti, ma resi obsoleti dalla corsa cieca della tecnologia. I burocrati li chiamano RAEE, rifiuti
da apparecchiature elettriche ed elettroniche. I riciclatori fanno affari d’oro
con ciò che noi buttiamo. I trafficanti di rifiuti fanno affari ancora più dorati portando questi rifiuti in Africa e in Asia, dove migliaia di poveracci smontano, svitano e bruciano per recuperare rame, metalli e altri elementi preziosi, respirando fumi tossici e
avvelenando se stessi e l’ambiente. Quegli stessi poveracci useranno gli
spiccioli che guadagnano per comprarsi qualcosa da mangiare e un liquore per
ubriacarsi e non pensare allo schifo di vita che fanno, e se avanza qualcosa lo
metteranno da parte per prendersi un cellulare o un televisore e sentirsi così
meno poveri. Quel cellulare e quel televisore prima o poi si romperanno e
finiranno in un’altra discarica del mondo, in mano a qualcuno più povero di loro, per essere anch'essi distrutti. Così il cerchio di ciò che noi chiamiamo progresso si
chiude.
A noi eletti
che viviamo nell’opulento (ancorché in crisi) mondo occidentale, tutto questo
viene tenuto rigorosamente nascosto. Anzi, ci esortano a fare pulizia in casa stuzzicando le nostre acerbe
coscienze ecologiche, dicendoci che tutto questo è un bene per l’ambiente, ma
in realtà vogliono solo che facciamo spazio nelle nostre case e nelle nostre vite per un nuovo cellulare, per un
altro tablet e un televisore ancora più grande.
Ormai ho capito che l’unico vero modo per aiutare
l’ambiente è consumare di meno, e comprare solo ciò che è effettivamente
necessario, senza cadere nella trappola di considerare ‘indispensabile’ il superfluo.
Non è facile. Da un certo punto di vista è come disintossicarsi: da un altro
punto di vista è come una rieducazione, per imparare di nuovo quella sobrietà
che il consumismo ci ha portato a considerare come un’anomalia. Non è facile, però è
possibile, e per esperienza personale posso dire che poi la soddisfazione è
tanta! Autoproduzioni, riciclo creativo, acquisti consapevoli sono tutti atti
che ci sottraggono al cerchio del progresso perverso, e ci restituiscono il
controllo su una parte così importante della nostra esistenza che per tanti
anni avevamo delegato a coloro che ci impongono mode e prodotti da comprare ad
ogni costo.
Come per
tanti altri percorsi di vita, una volta intrapresa quella strada difficilmente
si torna indietro, e anzi si è stimolati ad andare sempre oltre, a togliere
ogni forma di eccesso per tornare alla vera essenza della nostra vita - che in fondo è lo stesso lavoro che fa uno scultore quando toglie dal blocco di marmo o dal ciocco di
legno tutto ciò che imprigiona la forma che vuole mostrare al mondo. Sento di avere
ancora tanto da fare, tanto da imparare… ci sono sempre nuove ricette da
sperimentare, idee da adattare alle mie esigenze, cose da scoprire. È come se i
miei orizzonti si fossero ampliati, e certe volte è una sensazione inebriante!
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