Nella mia via c’era una latteria che nel retro aveva dei tavoli e ci si poteva anche mangiare. Ci si comprava anche il vino nei bottiglioni o nel fiasco, e l’essenza di trementina. Se compravi il vino, il lattaio te lo metteva nel sacchetto di plastica doppio, e il sacchetto di plastica non te lo faceva pagare. L’essenza di trementina non so, non l’ho mai comprata. Una volta il latte lo vendevano in un contenitore a forma di piramide. Costava 480 lire e si tenevano le monete da 5 e da 10 lire solo per quello. Poi qualcuno aveva deciso di vendere il latte a cifra tonda e quelle monete erano sparite. Te le davano solo in qualche supermercato, ma solo se eri un cliente antipatico.
Nella
mia via c’era la latteria e anche il colorificio, che aveva le vetrine fatte di
legno e di vetro. e per entrarci bisognava salire quattro gradini. Dentro invece
era solo di legno. Legno sulle pareti, legno per le mensole, legno per gli
scaffali. Di legno pure il bancone. Dentro il colorificio c’erano tutti i
colori del mondo, bastava sceglierli su un catalogo e poi un uomo con una tuta
blu o marrone usciva da dietro una tenda con una latta di quel colore. C’erano
anche i pennelli per stendere quel colore, ma non eri obbligato a comprarli.
Nella
mia via c’era pure un negozio di biciclette, che odorava di gomma delle ruote
nuove e di grasso per le catene. E lì accanto c’era il ferramenta che all’occorrenza
ti vendeva anche la pompa per gonfiare le ruote, e costava meno che nel negozio
di biciclette.
Nella mia via c’era il fruttivendolo che a Natale metteva una
catena di luci con le palle colorate, che avevano solo i fruttivendoli e
qualche volta le macellerie. C’era anche quella nella mia via, ma non aveva le
palle colorate a Natale. Però in estate fuori dalla porta aveva una tenda fatta
di lunghi fili marroni spessi e pelosi.
Vicino
alla mia via c’era anche una chiesa, e vicino alla chiesa c’era un giardinetto
dove ci giocavano i bambini. Giravano sui vialetti con le biciclette o con i
pattini che avevano le rotelle due per parte, e non in un’unica fila come i
pattini moderni, oppure giocavano al pallone, se qualcuno lo portava. Per terra
c’era l’asfalto, e se cadevano si sbucciavano le ginocchia, ma c’era una
fontanella per lavarsi e il giorno dopo arrivavano con un cerotto messo di
traverso. Nello stesso giardinetto ci portavano a passeggio i cani, e capitava
che la palla si sporcasse di cacca, ma si lavava nella stessa fontanella e
nessuno ci pensava più.
Nella
mia via c’erano i pittori e gli scultori perché la mia via stava vicino
all’Accademia di Brera, c’erano le botteghe e i bottegai, c’erano i fornai e i
pasticceri, le prostitute e i travestiti, e anche degli architetti. Stavano
tutti assieme senza trovarlo strano, e a noi bambini ci insegnavano che
dovevamo salutare tutti.
Adesso
nella mia via ci sono solo negozi di lusso, e nessuno saluta più nessuno perché
non ci sono più i fornai e i pasticceri e i bottegai, non ci sono più le
prostitute e i travestiti e nemmeno gli architetti, ma ci sono solo persone di
lusso e a quanto pare quelle non salutano.
Non ci
sono più neanch’io, nella mia via. L’ho lasciata quando ha cominciato a
diventare di lusso e da allora ci sono tornata solo tre volte di numero. Una
volta per rivedere la casa dov’ero cresciuta, un’altra volta perché avevo
nostalgia e un’ultima volta prima di andarmene da Milano per sempre, per fare
qualche foto. Ma quella che avevo fotografato non era più la mia via, e le
immagini non mi dicevano niente. Invece questa, che ho ritrovato fra le cose di mia mamma, mi parla ancora, e la sua voce è forte.
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